2015/01/03

Se la piazza libera viene sostituita dal giardino cintato: distopia dei social network

Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “leandrodae*”.

La foto qui accanto non è tratta da qualche film di fantascienza distopica. È un'immagine scattata il 21 dicembre scorso in un centro commerciale, il Mall of America, nel Minnesota, dove alcune centinaia di persone si sono radunate pacificamente per dimostrare contro i recenti e ripetuti abusi di polizia che hanno portato alla morte di numerose persone innocenti. Tutte, guarda caso, di colore.

Come segnalano Wired e BoingBoing, l'immagine è il simbolo perfetto di dove stiamo andando senza rendercene conto granché. Stiamo sostituendo la libera piazza con il recinto controllato, nel mondo fisico e anche su Internet.

Nel mondo fisico, stiamo sostituendo un luogo d'incontro e di discussione su suolo pubblico, regolato soltanto dalle leggi dello stato e dalle norme di democrazia e nel quale vale il diritto di esprimere la propria opinione e di manifestare, con un ambiente privato, il cui proprietario può decidere a suo totale piacimento cosa consentire e cosa vietare: può vietare di fare fotografie, anche soltanto per prendere nota dell'aspetto o dei dati tecnici di un prodotto (è successo anche a me in Svizzera), e può proibire un incontro pacifico di persone, definendolo addirittura una “sommossa” (riot). Guardate questa foto e ditemi se corrisponde alla vostra definizione di sommossa:

Credit: John Autey/Pioneer Press

Tenete presente che è scattata in un paese nel quale, in molti stati, esiste il diritto automatico di girare armati anche in un centro commerciale (così un bambino di due anni può sparare alla madre e ucciderla). Cosa vi fa sentire più minacciati, un gruppo di manifestanti come questo o la consapevolezza che un tizio qualunque può avere addosso abbastanza munizioni da fare una strage?

Certo, il centro commerciale è proprietà privata e quindi il proprietario ha il diritto legale di imporre le regole che desidera. Ma è interessante notare quanti centri commerciali vietano di entrare armati e quanti invece vietano di fare fotografie.

Su Internet sta succedendo la stessa cosa. Stiamo rapidamente sostituendo mezzi di comunicazione liberi e regolati soltanto dalle norme di democrazia (mail, mailing list, IRC, newsgroup, forum distribuiti e decentrati), con ambienti chiusi commerciali, di proprietà privata (i social network), nei quali il proprietario decide arbitrariamente cosa abbiamo il diritto di dire o di fare.

Per esempio, su Facebook non potete pubblicare una foto di un seno di cui s'intraveda l'areola, neppure per mostrare un allattamento (norma revocata solo di recente), neppure per un body painting (anche qui), e fino a poco tempo fa neppure in un'opera d'arte presentata da un museo, ma una testa spiaccicata (“crushed heads are OK”), un cane trascinato a sangue dietro un'auto o la decapitazione di una donna vanno benissimo.

Leggete le norme interne di Facebook e guardate gli esempi qui sotto: è chiaro che qualcuno, da qualche parte, s'è messo in testa che mostrare specificamente i capezzoli femminili (e solo quelli; il resto del seno non causa turbe), anche soltanto disegnati, diffonde Ebola, causa pazzia, porta alla perdizione o istiga ad atti di terrorismo. Qualcuno deve pensare ai bambini che verranno scioccati da cotanta visione. Siamo in piena Guerra al Capezzolo.

Immagine non accettabile secondo Facebook.
Credit: Laure Albin Guillot, 1940 circa, Museo Jeu de Paume

Vignetta bandita da Facebook.
Credit: New Yorker/Robert Mankoff.

Immagine bandita da Facebook.
Credit: Gregory Colbert.
Immagine accettabile per Facebook.
Comunicare attraverso i social network significa dare a un ente privato commerciale il potere assoluto di controllare e regolamentare quello che possiamo dire, discutere e mostrare in base a regole che non sono quelle del nostro paese o delle nostre leggi, ma sono quelle arbitrarie del proprietario, che le può alterare in ogni momento a proprio piacimento e bandirci quando gli pare.

Nei social network non abbiamo diritti. Pensiamoci, prima di dimenticarci come si manda una mail.

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